La storia

La scuola nasce nel 1998 dalla forte volontà di due illustri marzialisti dalle grandi capacità tecniche. Il Maestro Antonio Pareschi ed i Maestro Guerrino Biondi nel 1998 fanno nascere la scuola denominata Centro Studi Autodifesa dando l’indirizzo alla stessa di crescere nel senso marziale verso le nuove idee che si proponevano sul piano marziale internazionale, Studiando con Maestri del nome di Matteo Stella, Giovanni Candela, M° Bob Breemer. La Scuola annovera parecchie collaborazioni, la più importante, la più duratura, è l’attuale col Maestro Bruzzone Mirko, col quale condivide il piacere di ospitare nel 2012 il Maestro Joaquin Almeria Maestro riconosciuto della illustrissima Scuola Inosanto Academy. Negli anni Vengono formati diversi istruttori e la scuola continua a crescere. Nel 2010 la figura di Roberto Capponcelli , già istruttore, diventa vice presidente per poi essere messo alla presidenza con la massima adesione dei partecipanti alla scuola nel 2012. A oggi l’attuale Presidente acquisisce oltre che ai titoli di primo soccorso, anche infantile, di sicurezza per gli ambienti(fra i quali quelli sportivi), il certificato di docente per le scuole primarie dell’infanzia, tramite un corso CONI elaborato dall’ente AICS, inoltre viene riconosciuto come referente  Zendoryou (tramite il M° Bruzzone referente per l’Italia) per la regione Emilia Romagna, come docente e cintura nera(riconosciuto a livello internazionale) di KYUSHO JITSU, nonché responsabile per Alia Academy dello studio e sviluppo del JKD scuola Inosanto. Il Maestro Acquisisce anche il titolo nel Kali Arnis Escrima, tramite l’ente di promozione PGS, ed il Progetto Italia, come istruttore iscritto al Miur, con tesi ed esame riconosciuto a livello nazionale. Nel periodo di dicembre 2015 ottiene anche la certificazione per il trattamento dell’adome nell’ampuku (certificazione per la cura e la salute riconosciuta in Italia per poter esercitare). Metodo di trattamento terapeutico della salute. A oggi il Presidente e Maestro della scuola Centro Studi Autodifesa, Capponcelli Roberto, continua gli aggiornamenti nel Kyusho Jitsu e nel Jkd tramite il M° Mirko Bruzzone e per il Kali Arnis Escrima(F.M.A.) col M° Rodelo Ubaldo. Continuando la ricerca e lo sviluppo della scuola il Presidente ha preso anche contatti col Progetto Italia per lo sviluppo e l’ampliamento della disciplina del combattimento col doppio bastone. cercando di iniziare gli allievi volonterosi per il combattimento coi bastoni alle selezione per la squadra Nazionale Italiana. La scuola annovera fra i soci il M° Guerrino Biondi (cofondatore della stessa) col quale negli anni si è instaurata  una splendida e duratura amicizia col M° Roberto Capponcelli. Il pass. Presidente e M° Antonio Pareschi ritiratosi dalla vita e disciplina Marziale, resta sempre una figura di grande carisma, per la scuola, che nonostante la sua assenza mantiene un altissimo standard qualitativo di studio e di crescita marziale e lavorativo, nonché serietà e professionalità che negli ultimi 20 anni ha dato larga dimostrazione. Fra gli allievi più capaci vi sono alcuni volti di spicco che hanno raggiunto traguardi importanti in vari settori, ma per questi vi rimando alle loro biografie. Massimo Cavazza Mirko Dall’Omo Matteo Cuozzo

Storia del Kali

kali

Storia del KALI – (fonte wikipedia)

Escrima

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Escrima o Eskrima è un antico sistema di combattimento filippino, conosciuto anche come Kali o Arnis de Mano, o ancora come FMA (Filipino Martial Arts).

Le tecniche di base insegnate sono estremamente semplificate. In un breve addestramento, con poco tempo a disposizione per allenarsi, solo le tecniche più semplici sono quelle che realmente possono essere usate con efficacia in battaglia. Questo permise agli abitanti delle tribù indigene, senza alcun addestramento militare, di difendersi da altre tribù o addirittura dall’aggressione di eserciti stranieri. A causa di questo primo approccio, l’Escrima può sembrare erroneamente un’arte marziale molto semplice da imparare.

Storia

“Escrima” in lingua filippina Tagalog ha lo stesso significato dello spagnolo “esgrima“, ovvero “scherma“. Il primo contatto storico del mondo occidentale con l’Escrima si ha nell’epoca delle prime conquiste coloniali, che seguirono alle esplorazioni dei “nuovi mondi” scoperti dai grandi navigatori agli inizi del Cinquecento. Quando i “conquistadores” spagnoli arrivarono nelle Filippine, trovarono ad aspettarli tribù belligeranti, che usavano armi tradizionali per difendersi. Ferdinando Magellano, in particolare, venne ucciso nella battaglia di Mactan del 1521 dal re Lapu-Lapu: è lo stesso Pigafetta, che descrive nel suo diario di viaggio come gli indigeni uccisero Magellano con lance e con un “gran terciado (che è come una scimitarra, ma più grosso)”. Dopo la conquista, gli spagnoli bandirono l’arte marziale indigena (che però rimase nascosta nelle danze e nei rituali popolari), sostituendola con la scherma spagnola. Il kali moderno risente ancora adesso dell’infuenza spagnola.

Molti ritengono che l’origine dell’Escrima si trovi nelle arti marziali indonesiane, che hanno le loro radici nel Kun Tao e nel Silat. Il Kun Tao (letteralmente la via del pugno) non è altro che una delle evoluzioni che ha avuto il Ch’uan Fa (conosciuto in occidente ed a Hong Kong con il termineKung fu e nella Cina moderna come Wu-shu), mentre il Silat deriva dai movimenti adottati dalle arti marziali della penisola indiana e della popolazione araba che si insediò in Indonesia verso il XIII secolo. Del resto, a partire dal XIV secolo iniziò l’insediamento di popolazioni musulmane anche nel sud delle Filippine, invasione che si fermò con l’arrivo degli spagnoli: ancora oggi le isole meridionali dell’arcipelago filippino sono abitate dalla popolazione “moros”, musulmana.

In realtà, gli innumerevoli stili delle arti marziali filippine hanno assorbito tecniche e schemi motori da qualsiasi arte marziale portata dai vari conquistatori delle Filippine che si sono succeduti nel corso della storia: indiani, arabi, spagnoli (con accompagnamento di portoghesi ed italiani), americani, giapponesi.

Escrima oggi

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per le arti marziali meno diffuse, provenienti da diverse culture di tutto il mondo, incluso Escrima, Capoeira,Savate, Muay Thai ed altre. Ritenuta la migliore arte per imparare ad usare i coltelli ed a difendersi da essi, Escrima ha attirato persone non necessariamente interessate al suo aspetto culturale. Come conseguenza, molti sistemi di Escrima sono stati modificati, per renderli più “vendibili” ad un pubblico esteso. L’infuenza di altre arti marziali asiatiche sul modo di proporsi “sul mercato” ha portato ad una enfatizzazione del trapping, delcontrollo e del disarmo, focalizzandosi sull’aspetto dell’autodifesa. D’altra parte, il Kali-Arnis-Escrima non si è evoluto in senso sportivo come altre arti marziali (soprattutto giapponesi e cinesi), mantenendo una certa impronta guerriera, dovuta alla sua origine (l’uso delle armi ne è insieme la causa e la diretta conseguenza).

I moderni metodi di allenamento tendono a curare meno il “footwork” e le tecniche di piede (che peraltro vengono assimilate con gli esercizi come veniva fatto anche anticamente) e le posizioni basse del corpo (che comunque erano adottate da non molti stili di Arnis/Escrima), soffermandosi sempre di più su tecniche dirette, maggiormente adatte ad essere imparate da chi non ha la possibilità di dedicare moltissimo tempo a queste discipline e che possono sembrare più efficaci, soprattutto in contesti in cui è richiesta una reazione immediata che non implichi anni e anni d’allenamento per essere acquisita.

Un altro campo in cui la disciplina si sta espandendo è il sincretismo con le tradizioni di scherma Europea, medioevale e rinascimentale, direzione in cui la sta sviluppando Master Bill Newman, allievo diretto di Latosa ed ora responsabile WTO per l’Escrima; così come sta approfondendo analogie e similutudini tra Kali-Arnis-Escrima e scherma rinascimentale italiana anche il Maestro Maurizio Maltese (uno dei quattro soci fondatori dell’AKEA, prima, e fondatore dell’ISAM poi).

Evoluzione

Non è raro veder praticare Escrima insieme con arti marziali cinesi, come Kempo e soprattutto Wing Chun, nonché Jeet Kune Do. Nelle Filippine molti maestri di Escrima ormai praticano come sistemi a mani nude anche discipline giapponesi, come il Karate o lo Judo. Pochi sono quelli che, depositari della tradizione, ancora conservano l’arsenale disarmato autoctono originale. I collegamenti con l’Occidente si devono a Dan Inosanto. Fu proprio grazie a quest’ultimo che l’Escrima venne diffusa e conosciuta in tutto il mondo. Merito di Inosanto, infatti, è quello di aver dato senso, logica e didattica ad un’arte marziale (o meglio ad un corpus di arti marziali) altamente carente in tal senso. Le Arti marziali filippine, infatti, in quanto sistemi familiari, non possedevano una progressione didattica, né una struttura ben definita e coerente di tecniche. I promotori di questo tipo di allenamento sostengono che le arti siano davvero simili in moltissimi aspetti, e negli altri siano complementari. Nel Wing Tsun (principalmente in quello della scuola EBMAS) l’escrima Serrada della scuola di René Latosa rappresenta il completamento dell’area del combattimento armato (nel Wing Tsun le armi tradizionali sono i coltelli a farfalla e il bastone lungo); inoltre è perfettamente in armonia con molti principi dell’arte, quali il Dinamismo rivolto verso l’avversario, l’importanza di trovarsi offline, il sistema di spostamenti sul Triangolo per maggior sicurezza durante l’esecuzione delle tecniche, lo studio dell’uso del corpo e l’attenzione sensibile alle pressioni avversarie. È tuttavia anche vero che in America l’Escrima è ritenuta da molti più affascinante e facile da proporre insieme con le arti marziali asiatiche; e questo spiega, in parte, il proliferare di stili e sottostili, la cui reale efficacia e praticità è stata messa a volte in discussione.

Un “Bolo” è il machete utilizzato nelle Filippine

La particolarità che più colpisce dell’Escrima è che si comincia lo studio dell’arte marziale imparando subito ad usare le armi. Successivamente si passa al combattimento a mani nude applicando le tecniche, le famiglie di movimento e le tattiche di combattimento apprese con le armi. Tutte le altre arti marziali cominciano sviluppando l’abilità nel combattimento a mani nude, per anni, prima di passare eventualmente alle armi. Questa particolarità delle FMA, è giustificata dal fatto che per imparare il combattimento a mani nude si usano gli stessi esercizi del combattimento armato, ponendo nella memoria fisica il fulcro di tutto l’addestramento. Secondo i maestri filippini, avere la disponibilità di un’arma pone in vantaggio durante un combattimento, inoltre, durante l’apprendimento dei movimenti e delle tecniche, utilizzare un’arma focalizza l’attenzione e velocizza i movimenti: doti che diventano utili anche nello scontro disarmato ed indispensabili in caso si fronteggiasse a mano nuda un avversario armato. Un’altra opinione di questi maestri, è che non si riesce a difendersi da certe armi (ad esempio il coltello), se non si conosce a propria volta come usarle. Quando non si ha un’arma a disposizione (anche di fortuna), il corpo stesso deve diventare un’arma!

Balisong

L’arma più comunemente utilizzata per cominciare l’apprendimento dell’Escrima è il bastone in rattan (chiamato “olisi”, “yantok” o “baton” o “baston” a seconda dello stile), lungo all’incirca quanto il braccio del praticante, con una lunghezza che può variare dai 45 ai 70 cm. Altri bastoni usati per l’allenamento possono essere fatti con legni più duri e resistenti del rattan. Si usano anche bastoni d’alluminio o realizzati in plastiche molto resistenti. In molti sistemi si comincia con l’imparare il combattimento con due armi, che possono essere due bastoni, due coltelli o un bastone e un coltello (sistema chiamato “espada y daga”). Altre armi tradizionali possono essere il bastone lungo, il bastone da pugno (pocket stick), la lancia, lo scudo, la frusta e il nunchaku, oltre alle classiche armi da taglio filippine di medie dimensioni accomunate a quelle malesi: bolo (è praticamente un machete), kampilan (arma da taglio con lama rastremata verso l’impugnatura), barong (arma da taglio con lama a foglia leggermente curvata all’interno) e kriss (arma da taglio con lama serpeggiante che esiste di varie dimensioni: dalle maggiori, che equivalgono a quelle di una spada, a quelle inferiori, simili a quelle di unpugnale, solo per citarne alcune).

Concetti tecnici di base

Il primo concetto tecnico su cui si fonda il Kali-Arnis-Escrima è utilizzare gli stessi movimenti usati per il maneggio di un’arma anche per il maneggio di armi diverse e per effettuare tecniche a mano nuda. Infatti, osservando attentamente le dimostrazioni tecniche di vari maestri ed istruttori di Escrima, si vede la quasi identica esecuzione della stessa tecnica, sia eseguita con un bastone che a mano nuda: vi sono solo piccoli aggiustamenti per adeguarsi a distanze di combattimento diverse e per sfruttare al meglio le differenti potenzialità offerte dalla mano prensile rispetto all’arma inerte.

Altro concetto tipico dell’Escrima, che si differenzia da altre arti marziali e che si ritrova solo nella scherma (e parzialmente nel Wing Chun), è la “numerazione degli angoli”: gli attacchi vengono portati seguendo particolari traiettorie che comunque rientrano in “zone” che delimitano la figura umana del bersaglio. Per comprendere questo concetto, occorre immaginare la figura umana dell’avversario divisa perfettamente a metà da una linea verticale che attraversa tutto il corpo dalla estremità superiore della testa fino al pavimento: questa divide il bersaglio in due parti (destra e sinistra). A livello dell’ombelico, la figura viene di nuovo divisa in due parti da una linea parallela al terreno: il bersaglio a questo punto, è diviso in due ulteriori zone (alto e basso, oltre alla parte mediana corrispondente alla linea stessa). A prescindere dal tipo di colpo (di punta o di taglio, ascendente o discendente…), ogni attacco rientrerà in una delle quattro zone delimitate dalla linea verticale e da quella orizzontale. Conseguentemente, i filippini hanno creato un sistema di numerazione che identifica queste zone e l’allievo che impara le difese dai vari attacchi, impara anche a gestire allo stesso modo qualsiasi tipo di colpo portato in una determinata zona. Gli stili di Kali-Arnis-Escrima sono tanti, ma tutti hanno questi quattro angoli (che diventano cinque considerando anche quello costituito dagli attacchi portati direttamente sulla linea centrale verticale) iniziali in comune: a seconda della scuola, questi angoli possono aumentare tramite ulteriori differenziazioni e distinguo in 7, 12, 15, 24 o più angoli.

Una ulteriore differenza che esiste tra arti marziali di origine cino-giapponese e l’Escrima, è quella costituita dall’enfasi con la quale si predilige l’insegnamento delle tecniche tramite l’esecuzione di “routine” assieme ad un compagno, composte da esercizi ciclici, costituiti a loro volta dalla successione delle varie tecniche fino a quel momento imparate e da ulteriori esercizi che spingono l’allievo a “sperimentare” tecniche aggiuntive e variazioni, da applicare su uno schema ciclico fisso al fine di imparare ad adeguarsi alle mutevoli condizioni di un combattimento, aumentando la propria “sensibilità” e la capacità di applicare tecniche d’opportunità. Questi esercizi, che non hanno nulla a che fare con le “forme” presenti in altre discipline, sono chiamati “Abesedario”, “Sumbrada” o “Sombrada”, “Hubud”, “Corridas”, “Tapi-Tapi”, “Palis”, “Contrada”, “Seguida” e con tanti altri nomi, a seconda dello stile e del particolare ambito del combattimento per lo studio del quale si rivolgono (a lunga, media o breve distanza).

Non solo armi

Nonostante il Kali-Arnis-Escrima sia conosciuto soprattutto per l’uso delle armi (soprattutto armi bianche da taglio e da percussione), in quest’arte esiste anche un vasto repertorio tecnico nel campo del combattimento a mano nuda che copre sia lo scontro tra opponenti disarmati, sia la difesa disarmata da attacco armato, rendendolo uno dei sistemi di combattimento più completi nell’ambito delle arti marziali.

Tale bagaglio tecnico viene comunemente chiamato “Pangamut” e si compone di tre aspetti.

Il primo è conosciuto come “Panantukan” e riguarda l’arte di colpire e difendersi utilizzando gli arti superiori: pugni, colpi di gomito, di avambraccio o con la mano aperta sono l’arsenale di tecniche utilizzate in quella che in occidente è chiamata anche “Boxe filippina”. Oltre ai colpi, sono ovviamente previste anche tutte le tecniche “difensive”, quali le “parate” (composte da “deviazioni”, “blocchi”, “opposizioni” e “assorbimenti”) e le posture del corpo e delle braccia atte a consentire un attacco rimanendo protetti da eventuali reazioni dell’avversario. Anche a mano nuda vengono utilizzati movimenti ed approcci tattici derivati dalle tecniche studiate con l’impiego delle armi come, ad esempio, il movimento “sinawalli” (che deriva dall’utilizzo di due armi di uguale lunghezza, una per mano) o il “gunting” (che prevede, in fase difensiva, la distruzione dell’arto avversario, armato o meno, che sta portando l’attacco), nonché gli “spostamenti sul triangolo”.

Il secondo aspetto riguarda i modi di colpire con gli arti inferiori e viene chiamato “Sikaran” (ma anche con altri nomi a seconda dello stile e dell’area di provenienza di quest’ultimo, come “Sipa” o “Pananjackman”), contemplando l’uso di calci e colpi di ginocchio. Anche in questo caso, si studiano gli utilizzi degli arti sia per l’attacco che per la difesa, applicando anche qui il concetto di gunting. I calci previsti nelle arti marziali filippine possono essere di qualunque tipo, per quanto siano quasi sempre preferiti i calci “bassi”: calci portati ad un’altezza superiore all’inguine, dai filippini sono considerati pericolosi per chi li effettua, in quanto si prestano a pronte e decisive reazioni da parte dell’avversario, quali una presa della gamba calciante con conseguente sbilanciamento e proiezione, oppure un contro-calcio che colpisce una qualsiasi delle numerose zone lasciate esposte nel calciare (gamba d’appoggio, inguine o la stessa gamba calciante secondo gli schemi previsti applicando il “gunting”) o, peggio ancora, la ferita (anche grave) della gamba calciante se l’avversario è armato di arma da taglio o da “botta”: certamente non si vedranno mai combattenti che praticano arti marziali filippine cercare di “disarmare” un attaccante armato di coltello o di “machete” con un calcio alla mano armata.

L’ultimo aspetto è il cosiddetto “Dumog” (o “Buno”, secondo gli stili) che comprende genericamente la “lotta“, ovvero le tecniche di “controllo”, di “sbilanciamento”, di “proiezione” e soprattutto le “leve”, le quali rivestono una particolare importanza in questa arte marziale per il loro utilizzo anche nelle tecniche di disarmo.

Anche nel campo del Pangamut, si privilegiano esercizi in coppia che sviluppano la “sensibilità” e che sono la variante a mano nuda dei rispettivi esercizi eseguiti anche a mano armata, soprattutto Hubud-Lubud e Sumbrada.

kali1 kali2 kali3

Storia del kyusho Jitsu

kyusho-jitsu
Storia del Kyusho Jitsu
(fonte wikipedia)
Dim Mak
Da Wikipedia, l’enciclopedia

Dim Mak è un antico metodo chiamato anche “tocco della morte”.
Ha origini millenarie e proviene dalla Cina, si pensa dai monaci shaolin che studiando i punti dell’agopuntura, i meridiani e le cure che potevano essere applicate, constatarono poi che altri punti, non meglio identificati, anziché portare beneficio, non dovessero assolutamente essere “toccati”, con aghi, moxa (carboncino con la punta accesa che si avvicinava per scaldare certi punti) o dita della mano. Difatti questa arte “proibita” permetteva di arrecare gravi danni, malori o addirittura la morte anche a distanza di mesi o anni per cause apparentemente naturali (es. toccando un determinato punto sulla spalla si poteva causare morte per polmonite o pleurite) e veniva tramandata solo a livelli altissimi in poche scuole di arti marziali. Per padroneggiare correttamente questo metodo non basta sapere il punto preciso da colpire, ma anche come colpirlo e, soprattutto cosa più difficile, come curare da eventuali colpi portati o subiti.
I Giapponesi codificarono ulteriormente il Dim Mak durante la seconda guerra mondiale, vedendo che nel combattimento corpo a corpo contro i soldati americani avevano poche possibilità di vittoria quindi usando i prigionieri di guerra e chiamando a raccolta tutti i maggiori esperti di arti marziali, fecero esperimenti per verificare quali punti potevano essere toccati durante un combattimento a mani nude per avere una sicura vittoria ma non poterono sperimentarlo sul campo a causa delle bombe su Hiroshima e Nagasaki e conseguente resa giapponese.
Tuttavia il lavoro eseguito non fu vano e si pensa che tale attività fu ricodificata e migliorata ulteriormente per poi essere insegnata a operatori di corpi speciali altamente addestrati, agenti dei servizi segreti e così via mantenendo quel velo di mistero che avvolge tuttora questa mistica metodo marziale.

Metodo che a oggi viene divulgato e promosso dalla D.K.I. ,la scuola più importante e la più riconosciuta a livello mondiale.

Studio del JKD

JKD

Storia del JKD
(fonte Wikipedia)

« Il Jeet Kune Do rifugge dal superficiale, penetra nel complesso, va al cuore del problema e ne individua i fattori chiave. »
(da jeet kune do il libro segreto di Bruce Lee)

Emblema del JKD. I caratteri cinesi intorno al Taijitu dicono: “Nessuna via come via, nessun limite come limite” (inglese: Using no way as way, having no limitation as limitation”).
Il Jeet Kune Do (截拳道), abbreviato in JKD, è un’arte marziale intuita e sintetizzata dal celebre sifu Bruce Lee negli anni sessanta. In cantonese Jeet significa “intercettare”, Kune “pugno” e Do “via”; Jeet Kune Do significa, quindi, la “La via del pugno che intercetta”.

Origine
Da quando, nel 1953 all’età di 13 anni Bruce Lee iniziò a praticare il Wing Chun dal maestro Yip Man, si rivelò particolarmente dotato nelle arti marziali.Quando nel ’59 si trasferì a San Francisco, Lee iniziò ad interessarsi anche di altre arti marziali, oltre al Wing Chun. Lesse numerosi libri e studiò diversi modi di combattere, focalizzando il proprio interesse soprattutto sulla boxe. Andando controcorrente, Lee preferì, quindi, appoggiarsi anche alle arti marziali occidentali, nonostante provenisse da un insegnamento orientale. Avendo imparato uno stile di combattimento che sfruttava i colpi da breve o brevissima distanza, Lee risultava evidentemente impreparato nel combattimento dalla distanza lunga e media, e poiché il Wing Chun non prevede combattimenti a lunga distanza, si sarebbe trovato spiazzato contro un avversario che combatte a distanza; di conseguenza approfondì anche quest’ambito del combattimento.Pensava che un buon artista marziale dovesse essere completo: era, quindi, indispensabile saper tirare calci da lontano e da vicino, pugni alti e bassi. Iniziò ad allenarsi modificando il Wing Chun classico che aveva appreso: apportò modifiche alla posizione di guardia, ad alcuni angoli e aggiunse anche una distanza lunga di tecniche di calci che derivava da studi sugli stili di Kung Fu del nord. Lee approfondì anche le sue conoscenze scientifiche: chinesiologia , fisiologia, dietistica, ecc..
« Per cogliere l’essenza delle arti marziali occorrono intelligenza, lavoro assiduo e perfetta padronanza delle tecniche. Per dominare un’arte marziale non sono sufficienti un allenamento intensivo e l’uso della forza. È necessario «capire», e presupposto della comprensione è lo studio dello sviluppo del movimento naturale in tutti gli esseri viventi. Ma è utile anche osservare gli altri, i modi e la rapidità con cui agiscono e i loro lati deboli. Anzi, proprio la conoscenza di questi elementi ci consente di battere i nostri avversari. »
(da Jeet kune do. Il libro segreto di Bruce Lee[5])
« Alcune arti marziali sono molto popolari perché sono belle da vedere, caratterizzate da tecniche fluenti, scorrevoli. Ma attenzione! Sono come un vino che è stato annacquato. E il vino annacquato non è vero vino, non è un vino buono, un prodotto genuino. Altre fanno meno figura, però – come sai – hanno un non-so-che, un tocco di autenticità, il sapore della genuinità. Sono come le olive. Il loro sapore può essere aspro, dolce-amaro. Ma l’aroma persiste. E impari ad apprezzarle. Mentre nessuno ha mai apprezzato un vino annacquato. »
(da Jeet kune do. Il libro segreto di Bruce Lee[5])
Le origini di quello che Bruce Lee chiamava Jeet Kune Do, si hanno nel 1965, quando aveva una palestra ad Oakland. Allenandosi con James Lee, Bruce continuò a modificare il Wing Chun fino a renderlo differente e denominandolo successivamente, Jun Fan Gung Fu,il kung fu di Jun Fan (il nome cinese di Bruce Lee), un’arte ancora molto simile al Wing Chun. Lo scontro tra Bruce Lee e Wong Jak Man si rivelò un punto di svolta per lo sviluppo del Jeet Kune Do. Lee concluse dal combattimento che la stretta aderenza al sistema di forme del Wing Chun classico era limitativa in situazioni di combattimento reale. Egli decise quindi di studiare altre arti marziali, Judo, Ju Jitsu, Karate, Taekwondo, Savate, Muay Thai, Aikido, Silat, Tai Chi, Panantukan e svariati stili di kung fu, e addirittura prese in considerazione la scherma, assorbendo ciò che risultava utile e scartando ciò che non era necessario. Il termine ufficiale fu scelto da Lee nel 1967 dopo un’intensa sessione di sparring con Dan Inosanto.Il continuo processo di evoluzione del JKD culminò quando nel 1970, a seguito di un incidente, costretto a letto, Lee iniziò un’intensa attività di elaborazione filosofica e metodologica. A seguito di ciò si completò la sua filosofia/metodo di stile senza stile, nessun metodo come metodo.
« Io non ho inventato un nuovo stile, non ho composto né modificato ciò che si trova all’interno di distinte forme in “quel” metodo e in “quell’altro”. Al contrario, spero di liberare i miei seguaci dall’aggrapparsi a stili, modelli, o forme. Ricordate che il Jeet Kune Do è solo un nome usato, uno specchio nel quale vedere “noi stessi”… Il Jeet Kune Do non è una istituzione organizzata della quale si può essere un membro. O si capisce o non si capisce. Non vi è alcun mistero sul mio stile, i miei movimenti sono diretti, semplici e non classici. La straordinaria forza del Jeet Kune Do risiede proprio nella sua semplicità… Sono sempre convinto che il modo più semplice è il modo più giusto. Il Jeet Kune Do è semplicemente l’espressione diretta dei propri sentimenti con il minimo dei movimenti e di energia… »
(da “Liberate Yourself From Classical Karate”)
Cos’è il JKD
Il JKD è un’arte,scienza e filosofia del combattimento ideata da Bruce Lee attraverso un processo di semplificazione, modificazione e aggiornamento di tecniche e principi combattivi appartenenti sia alle arti marziali orientali che agli sport da combattimento occidentali.
Il JKD promuove il concetto di semplicità, efficacia ed economia delle energie ed esclude la distinzione in scuole e stili.
Inoltre, accoglie al suo interno alcuni principi filosofici del Taosimo, Buddhismo Zen e del Maestro indiano Krishnamurti.
Per quanto riguarda il bagaglio tecnico-tattico, Lee analizzò molti sistemi di combattimento tra i quali Judo, Ju Jitsu, Karate, Taekwondo, Kendo, Muay Thai, Aikido, Silat, Tai Chi, Panantukan e svariati stili di kung fu, ma le arti marziali e gli sport da combattimento che ispirarono maggiormente Bruce Lee nel processo di sintesi e intuizione del JKD sono il Pugilato e la Scherma (il riferimento a queste discipline è costante nelle migliaia di pagine di scritti di Bruce Lee, laddove gli altri metodi vengono esauriti in poche righe, in cui si limita ad elencarne punti deboli e punti forti) , e in minor misura ilWing Chun ed alcune tecniche di gamba appartenenti agli stili di Kung Fu della Cina del Nord e alla Savate francese.
Di notevole supporto per Lee fu lo studio delle teorie e metodologie dell’allenamento, nonché della fisiologia e biomeccanica del corpo umano, in quanto influirono positivamente nell’elaborazione del JKD tanto quanto l’analisi dei vari stili di combattimento.
Ogni tecnica del Jeet Kune Do è stata sviluppata dal suo stesso creatore: Bruce Lee. Il principio dell’economia della linea diretta e di combattimento ridotto all’essenziale, nonché gli esercizi per lo sviluppo dell’equilibrio e della sensibilità (chi-sao), vengono direttamente dal Wing Chun. La posizione, il footwork, e altre strategie di movimento del JKD vengono direttamente dalla scherma. Anche il principio di base del JKD di intercettare l’avversario, infatti, è un atteggiamento tipico della scherma. Ed è proprio questo principio che dà il nome al Jeet Kune Do. Secondo Aldo Nadi e Julio Martinez Castello, due schermidori citati ampiamente negli scritti di Lee, l’idea centrale della scherma è poter sistemare il proprio avversario in modo da poterlo intercettare e colpirlo in un suo punto debole.Per i movimenti e la generazione massima di forza, Lee s’ispirò a pugili come Dempsey, Haislet, Driscoll. Anche costoro sono stati ampiamente citati negli scritti di Lee. Il jab verticale del JKD, il corretto allineamento, il modo di colpire un corpo, la rotazione del bacino e altre tecniche ancora derivano tutte dal pugilato. Sembra inoltre che abbia visto e rivisto moltissimi incontri di Muhammad Ali e Joe Louis, in quanto stimava entrambi i loro stili pugilistici. Le tecniche di gamba sono sempre ispirate dai principi del pugilato e della scherma occidentale e in minor misura dalla Savate francese e dagli stili di kung fu della Cina del nord.
A differenza degli stili orientali, da cui proveniva Lee, nel Jeet Kune Do si riscontra la totale assenza di kata. Secondo Lee, infatti, gli insegnamenti proposti dai kata non potevano risultare efficaci nei combattimenti reali. A proposito degli insegnamenti delle arti marziali classiche, Lee sosteneva che:
« […] tutti gli stili rappresentano un prodotto di azioni che assomigliano molto a una nuotata sulla terraferma, perfino la scuola del wing chun. »

———————————————————————————————————————————————————
(da Manuale pratico del Jeet Kune Do[12])
Nonostante abbia avuto forti influenze dalla scherma e dal pugilato, mantenendo anche alcune tecniche ed esercizi provenienti dal Wing Chun e dagli altri stili cinesi, è importante precisare che il JKD non è boxe, non è scherma e non è wing chun. Ogni singola tecnica è stata oggetto di analisi scientifiche, è stata modificata e adattata per funzionare in situazioni reali di combattimento.Va quindi specificato che il JKD non va considerata un’arte marziale ibrida, non è un miscuglio di arti marziali e non va neanche confuso con il Jun Fan Gung Fu , ovvero ciò che Bruce Lee praticava prima di elaborare il Jkd. Il Jeet kune Do non va quindi considerato come un Wing Chun modificato né tanto meno come il precursore delle moderne Arti Marziali Miste.
Bruce Lee riteneva importante conoscere le caratteristiche dei vari sistemi in quanto adattarsi a tutti i metodi significava poter affrontare combattenti esperti in discipline diverse , adattandosi comunque al loro modo di combattere senza che essi potessero portarlo,combattivamente parlando, nel campo e nella distanza a loro congeniale o comunque ad attuare tecniche e strategie vincenti. Bruce Lee sviluppò il Jeet Kune Do, con l’essenzialità del suo approccio tecnico e dei suoi principi, proprio per non avere bisogno d’altro.
D’altronde, come egli disse:
« Il miglior combattente non è un pugile, un karateka o un judoka. Il miglior combattente è qualcuno che si può adattare a qualsiasi stile di combattimento».

———————————————————————————————————————————————————

Principi pratici del Jeet Kune Do
Bruce Lee lasciò una grande quantità di consigli, studi, scritti, appunti personali e pubblici riguardo al JKD.
« 1. Rigorosa economia strutturale nell’attacco e nella difesa (attacco: arti avanzati vivi/difesa: mani che trafiggono). 2. Armi versatili, calci e pugni sferrati “con arte senza arte”, senza attenersi ai metodi, per evitare parzializzazione
3. Ritmo spezzato, mezzo ritmo e ritmo intero o ritmo di trequarti (ritmo del JKD nell’attacco e nel contrattacco)
4. Allenamento coi pesi, allenamento scientifico supplementare e messa a punto completa
5. Movimenti diretti, il “movimento diretto del JKD” in attacchi e contrattacchi sferrati dalla posizione in cui si è (senza modificarla)
6. Tronco mobile e lavoro di gambe disinvolto
7. Materia morbida e tattiche di attacco imprevedibili
8. Corpo a corpo spietato: • a. abbattimento con astuzia • b. atterramento • c. presa stretta • d. immobilizzazione 9. Irrobustimento dell’intero organismo (allenamento totale e allenamento mediante contatto, su bersagli mobili)
10. “Armi” potenti rese aguzze dal continuo “affilamento”
11. Espressione individuale e non produzione di massa, vitalità e non morta applicazione di regole classiche (comunicazione vera)
12. Oltre ai movimenti fisici, cura la ‘continuità dell’io che si esprime’
13. Totalità, non frammentarietà strutturale
14. Rilassamento e insieme potente penetrazione. Ma un rilassamento ricco di elasticità, di scatto, non un corpo fisicamente rilassato. E versatilità mentale
(interiore)
15. Flusso ininterrotto (movimenti rettilinei e curvi, in alto e in basso, verso destra e verso sinistra, passi laterali, oscillazione verticale e circolare del busto, movimenti circolari con le mani)
16. Atteggiamento ben bilanciato durante il movimento, costantemente. Continuità fra massima tensione e massimo rilassamento. »

———————————————————————————————————————————————————
(da Jeet Kune Do. Il libro segreto di Bruce Lee)
Varie scuole di JKD
Molte scuole di JKD nacquero a seguito della morte del suo creatore, alcune originate direttamente dai suoi allievi, altre di seconda generazione, diverse senza nessun legame e infine, altre che usano il nome JKD solo per pubblicizzare il proprio stile.
Le due principali scuole in quest’ambito sono: Jeet Kune Do Original – Jeet Kune Do Concepts.
Nel Jeet Kune Do Original o Jun Fan Jeet Kune Do si studia solo ciò che Bruce Lee aveva elaborato ed insegnato tra il1967 e il 1973 cercando di tramandarlo il più fedelmente possibile. Tra gli allievi di prima generazione atti a preservare e diffondere l’originale arte del jeet kune do vanno inclusiTed Wong, Bob Breemer, Jerry Poteet .
Nel Jeet Kune Do Concepts si analizza in ” chiave jkd ” le altre arti marziali , assorbendone tecniche e principi utili in termini di efficacia, integrandole eventualmente al bagaglio tecnico del jun fan gung fu e jeet kune do original. Gli allievi di prima generazione che si sono orientati verso questa visione del JKD sono Dan Inosanto, Richard Bustillo e Larry Hartsell.
Ci sono poi gli allievi della scuola di Seattle che appresero solo la versione modificata dello stile Wing chun con elementi di altri stili cinesi, solitamente chiamato Jun Fan Gung Fu, e fra questi spiccano Jesse Glover e Taky Kimura.
Nella scuola di Oakland, Bruce Lee introdusse elementi di Boxe occidentale. È in questo periodo storico che vi è il passaggio definitivo da un allenamento improntato sul Kung fu, il cui nucleo era costituito dal Wing Chun, al Jeet Kune Do. Solitamente ci si riferisce a quest’arte sempre col nome di Jun Fan Gung fu, ma alcuni allievi preferiscono definire questo approccio combattivo col nome Oakland Jeet Kune Do, per via dell’introduzione di principi e tecniche che hanno in seguito portato alla nascita del Jeet Kune Do a Los Angeles. Tuttavia questo nome non sarebbe corretto perché tale pratica trascura altri principi importantissimi nell’era di Los Angeles e ancora ingloba principi e strutture tipiche del Jun Fan Gung Fu. L’allievo più importante della scuola di Oakland era l’assistente istruttore James Yimm Lee.

« Il JKD NON consiste nell’accumulare una conoscenza fissa piuttosto è un processo che induce a scoprire le cause dell’ignoranza… »